Pensieri e tecniche, un processo evolutivo

La storia è spesso attraversata da scoperte, cambiamenti e sviluppi artistici che avvengono nello stesso momento seppur in luoghi diversi. Così anche la fotografia ha subito un processo di trasformazione che ha coinvolto più persone contemporaneamente in diverse parti del mondo. La tecnica fotografica fu ufficialmente brevettata nel 1839 grazie al dagherrotipo di Louis Jacques Mandé Daguerre, aiutato dal contributo di Joseph Nicéphore Niépce. La stessa attribuzione dell’invenzione scatenò alcune polemiche fra diversi personaggi dell’epoca che ne rivendicavano la paternità. È importante infatti citare Henry Fox Talbot, fisico inglese che stava lavorando a una tecnica diversa rispetto al suo collega francese, che fu poi la tecnica più usata e sviluppata fino ai giorni nostri. Fotografiamo quindi da meno di 200 anni e perché fotografiamo? La fotografia ha attraversato tante fasi: una delle prime corrispondeva al mostrare luoghi lontani di ritorno dai viaggi, suscitando emozione in chi era rimasto a casa. Nel tempo l’uso del mezzo si evolve, si afferma come forma artistica; si sono sviluppate anche nuove tecniche: al di là del passaggio al digitale, tanti artisti sperimentano con le basi per inventare nuove soluzioni visive. Conoscere il processo evolutivo che la fotografia ha attraversato e scoprire nuovi fotografi può essere utile perché ci insegna a riflettere sul significato delle foto in maniera più ampia e a scattare con più coscienza.

Montreal
Il confronto della vista su Montréal, fotografata in un pomeriggio soleggiato e in una serata nuvolosa, mostra come le condizioni atmosferiche influiscono sulla resa dei soggetti

Luce e ombra

Dal greco “phôs”, “luce” e “graphè”, “scrittura/disegno”, fotografia significa “scrivere/ disegnare con la luce”. Importante da tenere a mente perché le condizioni di luminosità e le caratteristiche della luce sono alla base di come il sensore della macchina riuscirà a catturare l’immagine. Comprendere che esistono diversi tipi di luce è fondamentale per poter sfruttare al meglio ogni condizione che si incontra e per correggere qualcosa quando la situazione non ci permette di ottenere la resa che vogliamo. Ci sono una dozzina di zone climatiche per una classificazione standard della luce solare (da artico, a secco, a tropicale), a cui si aggiungono poi molti microclimi e tutti i cambiamenti dati da foschia, nuvole, nebbia, o altri fenomeni atmosferici. La luce ambientale, per di più, è imprevedibile: esistono molti luoghi in cui all’interno della stessa giornata si passa da sole a pioggia. Un altro aspetto importante della luce è il suo colore, anch’esso con una temperatura, misurata in gradi Kelvin (K). Esiste poi una dominante bluastra o giallina data dalla luce del sole, che cambia in base alle diverse ore del giorno e in base alla zona climatica. Genericamente si può dire che i climi freddi (montano, artico e subartico) hanno una dominante più verso il blu, mentre i climi più caldi (temperato, secco e tropicale) invece sono più verso il giallo/rosso.

Dai fenomeni atmosferici dipende anche la caratteristica delle ombre: in condizione di aria pulita e sole perpendicolare al suolo, le ombre saranno molto nette e definite, saranno quindi definite “dure”; più interferenze influenzano la luce più le ombre diventeranno “morbide”.

Nel capire che luce si ha davanti si è avvantaggiati perché si è in grado di sfruttare al meglio ogni situazione, anche le più difficili, perché possono comunque avere dei dettagli interessanti da cogliere.

 

L’inquadratura. Dentro la cornice

L’inquadratura è fondamentale, è il luogo dove tutto succede. La vita, i paesaggi, le persone e gli oggetti esistono a prescindere, sta a noi decidere quale parte di quel che vediamo in quel momento vogliamo riprendere o evitare. Importante è chiedersi “Cosa mi piace qui?”, “Cosa voglio immortalare?”, “Cosa non vedo?” Questo processo non è così istantaneo come si pensa, perché quando si è sul luogo si vede anche quello che non è inquadrato e non si pone abbastanza attenzione all’idea che quando poi si guardano le fotografie, una volta a casa, non ci sarà più lo sfondo a contornare di informazioni quello che si vede nel rettangolo della fotografia. Per esempio: se si vuole fotografare una scimmia che tiene un frutto che ha appena colto da un albero, ma si inquadra solo la scimmia, quel frutto potrebbe esserle stato dato da un turista; se si inquadra anche l’albero con gli stessi frutti, si dona uno “storytelling” dietro allo scatto, raccontando allo spettatore che la scimmia ha appena colto il frutto. L’orientamento stesso della “cornice”, orizzontale o verticale, cambia le percezioni e va adattato al soggetto che contiene, perché non c’è un orientamento preferito a prescindere. Dipende quindi dal contenuto, o al massimo dall’uso che se ne vuole fare: pubblicando le immagini su qualsivoglia supporto, bisogna valutare in anticipo se si avrà bisogno di formato orizzontale o verticale. Sono state effettuate molte ricerche e studi su come l’occhio umano percepisce gli oggetti all’interno di una cornice, che nel caso delle fotografie è solitamente rettangolare, ma può essere quadrata, tonda, ovale o come più si preferisce. Sono quindi state messe a punto delle indicazioni, delle vere e proprie regole su come inquadrare, perché la posizione, il colore e la luminosità sono fattori che influenzano la percezione di un oggetto, in modo da ottenere fotografie bilanciate piacevoli alla vista, ma anche per comunicare al meglio quello che si desidera.

Inquadrando, si sceglie se raccontare il porto di Neuchâtel attraverso dettagli o nel suo insieme
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