Una fotografia risulta esposta correttamente quando la giusta quantità di luce raggiunge il sensore. Il processo che permette di ottenere la giusta esposizione risulta complicato durante i primi utilizzi dell’impostazione manuale, ma grazie all’esperienza si può riuscire a controllare in poco tempo.
Lo scatto è regolato impostando tre parametri: diaframma, tempo di scatto e ISO. Il tempo indica la quantità di tempo in cui l’otturatore rimarrà aperto. Tempi brevi permettono di “congelare” il movimento dei soggetti ripresi, oppure di creare l’effetto mosso con tempi lunghi. Le reflex consentono anche le pose “B” (bulb) e “T” (time) con cui si apre l’otturatore anche per ore, con effetti particolari.
Il numero del diaframma determina l’apertura che quest’ultimo avrà durante lo scatto. Si determina la profondità di campo, cioè lo spazio “a fuoco” nella fotografia.
Per una profondità di campo ridotta, che isoli bene il soggetto, bisogna aprire molto il diaframma (selezionando numeri piccoli, per esempio f/1.4 e f/2.8); una profondità di campo estesa si ottiene chiudendo il diaframma (numeri grandi, per esempio f/16 e f/22). Il valore ISO indica la sensibilità del sensore della fotocamera, ma aumentando gli ISO si crea progressivamente un fastidioso “rumore” digitale (sgranatura).
L’esposizione corretta si ha mediante molteplici combinazioni dei valori, l’importante è che il totale della luce che arriva al sensore rimanga lo stesso. Questi valori sono espressi in sequenze di numeri (o frazioni). Il passaggio da un numero all’altro è definito “Stop”; a ogni “Stop” la quantità di luce che raggiunge il sensore raddoppia o si dimezza (alcune macchine hanno anche valori intermedi). La combinazione migliore è semplicemente quella che preferite e crea la profondità di campo e il congelamento del movimento graditi.
Per valutare l’esposizione corretta esiste l’esposimetro incorporato nel mirino, con caratteristiche variabili in base alla macchina: vi mostra la sovra o sotto esposizione dell’immagine a seconda dell’impostazione dei tre parametri già citati. L’esposimetro legge la luce seguendo diverse modalità, per esempio: “spot” o “parziale” in base a una piccola parte dell’immagine attorno al punto di messa a fuoco; “Matrix” o “valutativa” vede l’intera scena inquadrata; “ponderata al centro” calcola l’esposizione considerando la zona centrale dell’inquadratura.
Luce – di fronte o di spalle al sole
Per luce frontale si intende la condizione di illuminazione che si presenta quando scattiamo con il sole alle nostre spalle, situazione che può risultare abbastanza piatta a causa della mancanza di ombre. È meglio quindi orientarsi verso soggetti le cui caratteristiche principali sono forma e colore piuttosto che rilievi particolari. In compenso, l’illuminazione è omogenea quindi l’immagine è di facile lettura. Le superfici riflettenti non sono da evitare: possono diventare un punto di interesse dell’immagine perché diventano uno specchio del sole, come succede alle finestre dei palazzi al tramonto.
Se si sa dosare e usare, il controluce crea immagini molto particolari. Un esempio comune è la silhouette, sagoma molto scura contro uno sfondo molto chiaro, che rende meglio in immagini “piatte”, senza senso delle proporzioni. Un’altra opportunità è esporre correttamente un soggetto posizionato quasi tra noi e il sole. Il risultato sarà un alone luminoso sui contorni del soggetto, che solitamente si realizza sempre bene sui capelli, più o meno evidente a seconda dei casi. Un effetto simile è dato dalla rifrazione dei raggi attraverso i materiali, come vetro o tessuti. Le situazioni in controluce non sono sempre facili da esporre, ma sicuramente regalano grandi libertà espressive e grande atmosfera.
L’inquadratura – lunghezza focale
Una delle scelte fondamentali della fotografia è quella della focale ottica. La lunghezza focale è la distanza tra il sensore e la lente frontale dell’obiettivo. Valore, espresso in millimetri, solo teorico perché considera l’obiettivo formato da una sola lente.
Con lunghezze focali diverse si trasmettono al lettore messaggi diversi. Si possono influenzare la percezione di profondità e le relazioni di grandezza fra gli oggetti.
Le focali lunghe (espresse da numeri alti) sembrano allontanare i soggetti. La prospettiva è compressa, le linee sono dritte e gli oggetti della scena appaiono quasi sullo stesso piano. Il risultato è una struttura dell’immagine semplice, di facile comprensione; risulta quindi più automatico concentrarsi sui contenuti dell’immagine piuttosto che su caratteristiche grafiche.
Le focali corte hanno il vantaggio di inquadrare una porzione dello spazio molto più ampia rispetto alle focali lunghe, ma generano una distorsione che diventa più sgradevole quanto è più corta la focale. Il bello di questo effetto distorto è un certo grado di realismo, che rende il lettore parte della scena, perché le linee distorte sui lati della fotografia fanno pensare alla continuazione della scena al di fuori della cornice. La focale più vicina alla vista umana è quella da 50mm.
A braccetto con la lunghezza focale va l’apertura del diaframma, quindi la profondità di campo. Oltre alle spiegazioni fornite sopra, ci sono altri due parametri che influiscono sulla profondità di campo. A parità di diaframma, più ci si avvicina al soggetto più la profondità di campo è ridotta. Inoltre, all’aumentare della lunghezza focale, diminuisce la profondità di campo.