
Molta acqua dolce è passata nelle viscere cittadine. E molta acqua salata ha bagnato il golfo che accoglie il riflesso del Vesuvio da quando Napoli fu detta mille culure da Pino Daniele, con quella sua voce che non a tutti piaceva, e con quel talento che invece gli fu riconosciuto prima da nomi sacri della musica del Novecento (uno su tutti, Wayne Shorter) che dal più vasto pubblico. I mille colori del capoluogo partenopeo, di quel brano e del Rione Sanità di cui parleremo, contengono un po’ di tutto. Paure e vagiti di nuova vita, sonnolenza e continuo movimento, attesa della fortuna e improvviso risveglio. In sostanza, cultura fra passato e presente. Ed è proprio questo il passaggio che si può vedere oggi nella città, un po’ come abbiamo vissuto noi in occasione della tappa finale di Praesentia, un lungo viaggio alla scoperta dello spirito campano. Del resto Napoli è sempre Napoli, e solo Napoli può essere sé, perché nel determinarsi cambia sempre. Da duemilaottocento anni a questa parte, quel che la rende unica. Davvero, unica.
Rione Sanità: l’arte di oggi che fa rivivere le chiese di ieri
Figurarsi al Rione Sanità, dove ancora si riesce a camminare (a Spaccanapoli vige addirittura il senso unico pedonale) nonostante le feste natalizie. Salire dalle Crocelle a Porta San Gennaro avvolge in un mondo nuovo, un grande bazar a cielo aperto dove sentirsi tranquillamente vinto e accompagnato da tutto. Voci, profumi, tentazioni, colori, disordine, tutto. E in tre minuti ecco lo Jago Museum, che anima la Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi. Ma cos’è, una galleria o è davvero consacrata? Laura, anima ciceroniana della Cooperativa La Sorte, ci racconta tutto su questo luogo meraviglioso, in continua fase di ristrutturazione e arricchito delle sculture del noto artista contemporaneo. E dice anche che il prete talvolta porta con sé un tavolo, lo apre e dice Messa. Tutti i residenti possono entrare, sempre: questo posto, come ogni altro, è loro. Napoli!
Napoli da sopra… a sottoterra
Al Rione Sanità c’è molto più della Casa di Totò, pure curiosa da sbirciare. Ce ne accorgiamo in quattro passi, spostandoci con due rigorose soste per apprezzare un’ostrica-da-strada e attraversare l’androne del Palazzo dello Spagnuolo per fotografare la sua settecentesca scalinata, divenuta celebre al cinema: chiudendo gli occhi sembra di vedere Vittorio De Sica salirne i gradoni a due a due. Eccoci allora all’Ipogeo dei Cristallini, straordinaria testimonianza ellenistica che giunge a noi con la sua splendida medusa a vegliare commoventi cuscini tufacei abbracciati dal sottosuolo e sovrastati da un intero quartiere.
Napoli da sottoterra… alla sagrestia
Tornando al punto in cui Via Vergini salendo si sdoppia, scambiamo Via dei Cristallini con Via Arena della Sanità e poi prendiamo la strada che dà il nome al quartiere fino alla Basilica di Santa Maria della Sanità. Qui ammiriamo il grande scalone barocco che conduce al presbiterio costruito sopra la cripta che ospita il venerato affresco paleocristiano della Madonna della Sanità e le strabilianti catacombe di San Gaudenzio. È questa un’esperienza immersiva (non c’è miglior modo di dirlo) e commovente per le storie che sa raccontare. In sagrestia, da non perdere il gigantesco Presepe Favoloso che suggeriamo di farvi raccontare da uno dei ragazzi della Cooperativa.
Mangiare e dormire al Rione Sanità
In giro, tante occasioni per mangiar bene e dormire meglio. Vanno senz’altro provate le leggerissime – per davvero! – pizze fritte di Isabella De Cham, vera maestra dell’abbraccio di sapori, e le tipicità proposte dalla Locanda del Monacone. Che dire poi delle prelibatezze della fabbrica di cioccolato Mario Gallucci, dove un’intera linea familiare produce senza sosta dolciumi di altissima qualità?
E per dormire, le due soluzioni che abbiamo trovato sono dentro lo stesso cancello. La ricchezza dell’arredamento della Casa d’Anna ai Cristallini e il fuori schema d’arte contemporanea proposto dall’Atelier Inès, dove lei indica i pezzi che ha raccolto e il marito Vincenzo conduce alla scoperta del laboratorio storico di Annibale Oste, suo padre, in loco inaspettato protagonista del design milanese del Novecento oggi riscoperto da ospiti di tutto il mondo.
Napoli, Sanità, Praesentia: in Campania, per esserci
La passeggiata che vi abbiamo raccontato è stata fatta in occasione dell’ultima giornata di Praesentia, che il professor Felice Casucci – assessore uscente al turismo della Regione Campania – descrive come «un invito a scoprire e preservare il turismo del “valore persona”, tangibilmente legato ai suoi cinque sensi come sentimenti del corpo, oltre ogni metafisica o falsificazione digitale». Questo si capisce bene al madre, il Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina che si trova a pochi minuti dal Rione Sanità e che ha ospitato l’ultimo grande show cooking dell’evento. Fra stanze affrescate dal gusto non condiviso, come quella del local Francesco Clemente, e opere che davvero “bucano” come il Dark Brother di Anish Kapoor, si punta sul presente che guarda al futuro. Lo sforzo è tutto mirato a tracciare un percorso che racconti l’identità campana «promuovendo un turismo enogastronomico che valorizza la cultura popolare mediterranea, con l’obiettivo di affermare la Campania come destinazione per un turismo d’eccellenza… favorendo incontri tra produttori, chef e visitatori anche in una nuova e inedita prospettiva solidale».
Napoli, città universale del patrimonio
Quest’appuntamento ha offerto anche l’occasione per ribadire l’importanza del riconoscimento da parte dell’Unesco dell’arte del pizzaiuolo napoletano in attesa della novità, appena ufficializzata, dell’inserimento della cucina italiana nel patrimonio immateriale dell’umanità. Già, la pizza, questo disco di pasta con sopra pomodoro e mozzarella… e ben altro. Solo questo? No, perché tutti conosciamo la sapienza antica che la circonda. Quanti incroci di culture, e quante tipicità strappate ad altre parti del mondo (basti pensare al pomodoro!) ci sono alle spalle di tradizioni che noi chiamiamo semplicemente italiane. E allora, che dire di più? Napoli non è solo mille colori, ma ben altro: perché contiene sé stessa, ossia tutto il mondo. Pardon, tutta l’umanità.
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